La navata è una semplice aula romana rettangolare, coperta da un tetto a vista, a capriate scoperte. Un tempo tutte le pareti erano affrescate ed arricchite da un fregio in stucco lavorato, come là, sulla parete settentrionale, dove non è stato messo l’intonaco. Gli affreschi e gli stucchi dovevano continuare le sacre narrazioni degli affreschi, così come lasciano intuire i bassorilievi ancora presenti sul parapetto della scala che scende in cripta, meravigliosi per la ricchezza figurativa ed il complesso significato teologico. Gli affreschi, che decorano ora le pareti, sono invece semplici affreschi votivi, realizzati in epoca successiva a partire dal XV fino al XVIII secolo.

Al di sopra dell’ingresso, occupando l’architettura dell’intera parete, sotto la preziosa cornice dell’arcone che racchiude i tre archi a tutto sesto più piccoli delle cappelle, si sviluppa un intero racconto del Libro dell’Apocalisse di San Giovanni, tratto dal cap. 12:

Poi un grande segno apparve nel cielo: una donna rivestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie del parto e le angosce nel dare alla luce. Intanto apparve un altro segno nel cielo: un gran dragone, dal colore del fuoco, con sette teste e dodici corna e sette diademi sulle teste. La sua coda trascinava la terza parte delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Poi il dragone si pose davanti alla donna che stava per dare alla luce, per divorare il figlio appena fosse nato. Ella diede alla luce un figlio maschio, destinato a pascere tutte le nazioni con una verga di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e al suo trono. La donna fuggì nel deserto, dove ha un luogo preparato da Dio, per esservi nutrita per milleduecentossessanta giorni. Allora avvenne una guerra nel cielo. Michele ed i suoi angeli combattevano contro il dragone. Il dragone ed i suoi angeli ingaggiarono battaglia, ma non poterono prevalere  e nel cielo non vi fu più posto per loro. E il gran dragone fu precipitato, l’antico serpente, che si chiamava diavolo e Satana, il seduttore del mondo intero; fu precipitato sulla terra e i suoi angeli furono precipitati con lui. E udii una grande voce nel cielo che diceva: “Ecco venuta finalmente la salvezza, la potenza, il regno del nostro Dio e la sovranità del suo Cristo; perché è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, colui che giorno e notte li accusava davanti al nostro Dio. Or essi hanno vinto in virtù del sangue dell’Agnello e con la parola della loro testimonianza, ed hanno disprezzato la loro vita fino al punto di accettare la morte. Per questo rallegratevi, o cieli, e voi che in essi abitate. Ma guai alla terra e al mare, perché il diavolo è sceso a voi con ira grande, sapendo di aver più poco tempo!”.

La lettura dell’affresco inizia a sinistra, dove la donna partoriente è distesa. Sopra di essa il sole  ed ai suoi piedi una falce di luna partecipano dell’evento straordinario che coinvolge l’universo. Un terribile dragone alato, simbolo del male spirituale, la minaccia con la mostruosità delle sue sette teste e dodici corna, mentre con la coda precipita le stelle dal cielo! Solo l’intervento fulmineo dell’arcangelo Michele, alla guida delle sue schiere angeliche, gli resiste. Egli risalta nella sua perfetta e fiammante divisa da centurione romano tra le tuniche dei suoi soldati celesti e protegge nella drammatica battaglia il bimbo che è nato. Il comandante e le truppe sembrano quasi stupite della facilità della loro vittoria. Ecco, infatti, che l’esito dello scontro è già celebrato con solennità al centro della scena: un angelo introduce il bambino nella mandorla. Ed il fanciullo si rivela il Cristo Vincitore, seduto in maestà sul suo trono. L’Altissimo ha con sé nella mano sinistra una pergamena arrotolata mentre il gesto della destra è di sovranità ed accoglienza. Sul fondo dell’affresco, due triangoli rovesciati descrivono la palude di fuoco e zolfo, e in uno di essi, gli angeli ribelli vengono precipitati; se ne scorgono le sagome appena abbozzate che, a braccia aperte come tentassero di afferrarsi al nulla dell’abisso, urlano la loro disperazione.

Eppure ancora una volta l’artefice della vittoria è l’Agnello sacrificale. Alla sommità del dipinto, lo unisce come fulcro alla decorazione plastica ed alla forma architettonica rendendole un tutt’uno. Ed è persino superfluo soffermarsi ad esprimere un giudizio estetico dell’insieme: esso è senza dubbio in assoluto uno dei capolavori più alti e inimitabili dell’arte romanica.