Il pezzo artistico più rilevante della basilica, dal punto di vista plastico ed architettonico, è senza dubbio il ciborio. Esso si innalza al centro del presbiterio rialzato rispetto alla navata da tre gradini di granito di ghiandone. Come del resto dell’edificio e delle decorazioni risultano molte le scuole di pensiero e le attribuzioni vanno dal X all’XI secolo, forse, qualcuno suggerisce, al momento stesso della permanenza in Civate dell’arcivescovo Arnolfo III. E’ in ogni modo un monumento rarissimo di cui si ha un solo similare esempio in S.Ambrogio a Milano. La differenza sostanziale con il suo modello in Sant’Ambrogio a Milano è forse quella dell’uso di materiali, più ricchi nel monumento milanese, e di una maggiore snellezza architettonica per quello civatese. Tale differenza è senza dubbio da imputarsi al fatto che tutto l’edificio di San Pietro al Monte è stato edificato solo con ciò che poteva essere trovato in loco, mentre la chiesa cittadina poteva contare evidentemente su risorse bene più ricche e diversificate. Il riferimento architettonico invece, in rapporto alla maggiore agilità della struttura del ciborio civatese, deve probabilmente intendersi come miglioramento dello stesso modello già eseguito in Milano.

È evidente che i capitelli e le colonne del ciborio sono stati rifatti con modalità e materiali molto diversi dopo il ‘600. Si nota, infatti, come i capitelli stessi siano in stile corinzio e rifatti in gesso. Anche le colonne sono state solo successivamente ricoperte con intonaco liscio, a differenza di tutte le altre colonne dell’edificio che sono invece lavorate.

Il frontone volto alla navata mostra, con rigida composizione in bassorilievo, la deesis di tipo occidentale, ovvero il Cristo morto in croce, affiancato dalla Madonna e da San Giovanni, rispettivamente simboli della Chiesa e dell’umanità, mentre in alto, accanto al capo di Cristo, il sole e la luna, simboli dell’intero universo, rendono universale l’avvenimento.

A nord è rappresentata la Resurrezione. In essa non appare il Cristo, ma i segni del grandioso evento. Due piccoli soldati custodiscono un sepolcro chiaramente vuoto, mentre le pie donne accorrono e l’angelo annuncia loro l’avvenimento. Da notare che le lance dei soldati e le funicelle del turibolo delle donne sono in affresco, sottolineando ancora una volta l’intreccio fra ornamento pittorico e plastico, unito alla cornice architettonica del quadro.

Ad ovest si può invece riconsiderare l’immagine della dedicatio, già osservata sull’ingresso. Qui il Cristo è rappresentato in trono, con a fianco San Pietro e San Paolo che si inchinano nel ricevere i sacri simboli.

A sud è riprodotta l’icona della mandorla sostenuta da due angeli, mentre al centro di essa il Cristo Pantocrator è rappresentato nel gesto benedicente, mentre la sua sinistra tiene il rotolo della Parola.

All’interno quattro angeli sorreggono la semisfera con la destra, mentre dalla loro mano sinistra si alzano delle piume foggiate ad ali, simboli di spiritualità celeste. Sono i quattro angeli descritti dall’Apocalisse che trattengono i venti. Nella semisfera un agnello al centro è circondato da diciotto figure umane, i beati, di cui otto in veste bianca e dieci con un mantello di porpora sulla veste candida. L’ipotesi interpretativa del numero dei beati converge nel definire le due cifre corrispondenti alla iota e alla eta della numerazione greca. Le due lettere sono le iniziali della parola Iesus. Ma il dieci e l’otto potrebbero essere i simboli numerici di 10+4+4, una singolare interpretazione del numero 144, riferito ai centoquarantaquattromila segnati di cui si parla nella visione celeste dell’Apocalisse, “di cui una parte ha lavato le sue vesti nel sangue dell’Agnello”. L’insieme architettonico del ciborio si completa con la figurazione plastica del tetramorfo rappresentato sopra i capitelli.